Ciao crazy
oggi torniamo a parlare di Bugie nascoste di Alessandra Torre, pubblicato il 5 luglio della casa editrice Mondadori, che ringraziamo per la possibilità che dà oggi ad ogni crazy di VINCERE UNA COPIA CARTACEA DI BUGIE NASCOSTE grazie ad un esclusivo GIVEAWAY!
Si tratta della versione italiana di Black Lies, uno stand alone che due anni fa ha conquistato le lettrici di erotic romance americane ed è ancora al momento il libro della Torre con il rating più alto....
Se avete già letto Bugie Nascoste vi farà piacere poter leggere oggi un EPILOGO EXTRA che l'autrice ha scritto per voi lettrici e che le crazy hanno tradotto per voi... buona lettura e in bocca al lupo!
Mi girai, scendendo di corsa le scale, i piedi nudi che toccavano il pavimento mentre acceleravo i passi. Eravamo in ritardo. Eravamo in ritardo e questa bambina pestifera si stava nascondendo. Perfetto. Poteva nascondersi da me. Morton l’avrebbe trovata. Andai nella camera padronale, spingendo la porta per aprirla e fischiando piano, l’intero letto che ondeggiava finché due zampe giganti non fecero capolino da sotto, zampe nere e marroni che si allungarono e si tesero fino a quando il naso, le orecchie e poi il corpo non saltarono all’occhio, un enorme osso finto tra le mascelle. “Mollalo,” lo rimproverai, aprendo la mia mano che era a pugno, un movimento della mano che conosceva, e lasciò cadere a terra l’osso bagnato fradicio con uno schiocco umido. Il Rottweiler mi guardò, le orecchie alzate. In attesa.
“Hannah. Cercala.” Aprii la porta dietro di me e indietreggiai. “Vai.” Lui non esitò, saltando attraverso la porta d’ingresso, il raschiare delle zampe sul suolo che mi rendeva facile seguirlo, il suo viaggio interrotto da frequenti pause e annusate prima di condurmi alla porta del ripostiglio. Si sedette subito fuori con lo sguardo fisso, allungando le sue zampe davanti, il segnale che gli era stato insegnato. Mi allontanai dal ripostiglio, aprendo un armadietto e prendendo un vasetto di vetro contente le sue ricompense, i suoi occhi che mi seguivano, l’addestramento che passava in secondo piano alla presenza del bacon. “Morton…” lo ammonii. Lui riportò lo sguardo alla porta, l’unico segnale di rottura la sporgenza della sua coda, che batteva un ritmo allegro sul pavimento. Mi piegai in avanti e gli diedi la sua ricompensa.
“Hannah,” chiamai. “Sei con le spalle al muro. O esci con le mani in alto, oppure mando dentro Mort.”
“Vai via!” La voce sprezzante all’interno mi fece sorridere. “Non andrò alle lezioni di pianoforte. Le odio!”
“Ti avverto…” dissi piano e con un accenno di minaccia. “Oggi è super bavoso. E ha appena mangiato uno scoiattolo in giardino. Ha l’alito puzzolente.”
Silenzio. Poi una risatina. “Lui non mangia gli scoiattoli. Lui—”
Il resto della sua frase si perse quando aprii di colpo la porta e Morton entrò in azione, lanciandosi in profondità, i suoi strilli che mi colpivano le orecchie mentre lui diventò un turbinio di leccate, strofinii di naso e pelo, le sue zampe che la tenevano ferma giù mentre le dava la sua versione migliore di un abbraccio.
“Pietà!” urlò! “Pietà! Ci andrò!”
Sorrisi. “Morton. Torna.”
Lui si fermò, girando la sua testa verso di me mentre si accigliava, la sua lingua di fuori, e nei suoi occhi la supplica per un’ultima leccata. “Vai. Torna.” Lui roteò, le sue zampe che trotterellavano indietro e lo guardai ritornare in direzione della camera da letto, immaginando il tremolio della struttura del letto, mentre lui si dimenava per tornare al suo posto preferito.
Mi girai verso il ripostiglio per trovare Hannah in piedi, mentre le sue mani facevano mosse complicate per ripulire strofinando la sua maglietta. “Pronta?”
“Credo,” borbottò.
* * *
Non stavamo andando a lezione di piano. Se Hannah fosse stata attenta, si sarebbe accorta che era martedì, non mercoledì. Ma le lezioni di pianoforte erano una distrazione più semplice della verità. Se avessi accennato al dottore, avrebbe fatto domande. Molte e molte domande. La ragazzina un giorno dovrebbe scrivere un’enciclopedia con le risposte a tutte le sue domande.
Chiamai Brant dall’auto, mettendo il telefono con la modalità privacy e tenendolo all’orecchio.
“Dove sei?” il suo saluto veloce e dritto al punto.
“Appena uscita di casa.”
“Farai tardi.” Potevo immaginarmelo, mentre calcolava tempo e distanza nella sua testa. “Non correre,” aggiunse, dopo un’ulteriore riflessione. “Prenditi il tuo tempo. Io sono già qui.”
“Bene. Ero preoccupata che fossi preso dal lavoro.” Non ero troppo preoccupata. Il mio uomo assente di prima non esisteva più. Brant non perdeva più gli appuntamenti o spariva. Il suo team alla BSX conosceva le sue condizioni, tutti noi giocavamo una partita di costante osservazione, attenti a osservare qualsiasi segnale preoccupante.
“Non me lo perderei mai. Lo sai.”
Sorrisi. Lo sapevo.
Un mese prima. La presa delle sue mani sui miei fianchi che mi spingeva indietro finché non andai a colpire la porta del suo ufficio, la sua mano che si allungava giù, chiudendo a chiave, la sua bocca calda sulla mia, il desiderio che attraversava il suo bacio mentre le sue mani viaggiavano verso la mia parte posteriore e si gettavano sul mio sedere. Lui spingeva i suoi fianchi in avanti e mi stringeva con le mani piegandomi in avanti contro il suo corpo mentre mi divorava la bocca come un adolescente arrapato. “Adesso,” sussurrò, le sue dita avide mentre si spostavano in su e strattonavano la cintura dei miei jeans.
“Shh,” lo zittii, consapevole del nostro tonfo contro la porta, il suo corpo duro contro il mio, il suo bisogno più importante di ogni casuale intenzione di nascondere la nostra imminente scopata alla sua segretaria.
“Togliteli,” ringhiò, le sue mani frustrate che lottavano con i miei shorts, la sua bocca che si spostava al mio collo mentre lui si occupava dei suoi pantaloni.
“Brant, non posso, sono in ritardo..” sussultai, ma le mie mani tradivano le mie vere intenzioni mentre aprivo il bottone e toglievo i pantaloncini di seta, uscendone solo con un piede, la seconda parte della mia frase si perse quando la sua mano si mosse veloce, spingendo la mia gamba libera verso l’esterno, e facendo scivolare le sue dita sul mio corpo prima e poi dentro di me, i miei occhi si chiusero mentre la loro pressione dentro di me raggiungeva “quel” punto, il punto a cui non potevo dire di no.
“Lascia che ti faccia venire. Dammi due minuti”. La sua supplica non aveva senso, il suo pene faceva già capolino dalla zip aperta dei suoi pantaloni, nudo e pronto. Lo sentivo pulsare contro il mio stomaco mentre le sue dita si mossero e mi fecero impazzire.
“Due minuti”, sospirai mentre mi aggrappavo alle sue spalle, lasciando che lui mi spingesse contro il muro, le mie gambe non erano molto collaborative al momento, “poi ho una riunione al piano di sopra”.
“Fanculo la riunione”. Piegò le sue dita dentro di me e iniziò a scoparmi con quelle, brevi e forti spinte che fecero decollare il mio orgasmo come se si fosse lanciato dalla cima di una scogliera, pronto a volare.
“Il tuo uccello. Adesso” dissi senza fiato, volevo venire con qualcosa di più che le sue dita, volevo una connessione totale. Queste intense scopate, questi momenti in cui sento Lee, lo posso vedere negli occhi di Brant, nel tocco rude di un uomo che non riesce a controllarsi, un uomo che prende invece di chiedere, e si aspetta qualsiasi cosa senza discutere.. quando riesco ad avere questo lato di Brant, voglio tutto quello che posso ottenere, voglio andare oltre il limite dell’essere usata e insieme dell’essere soddisfatta. Voglio lasciare che mio marito mi scopi nel suo ufficio con venti persone che aspettano dall’altro lato della porta. Voglio lasciare che mi prenda, mi comandi, mi faccia implorare.
“Non ho il preservativo”, commenta Brant.
“Sto per saltare la riunione, puoi saltare il preservativo”. Non ce la posso fare, non riesco a trattenere questo orgasmo, le sue dita si fanno più forti, più dure, il lato oscuro dei suoi occhi cresce alle mie parole omiodiononcelaposso…
Non riuscii a capire quando entrò, non capii quando o come le sue dita erano uscite fuori e il ritmo non era diminuito ma all’improvviso ero piena. Piena di selvaggia mascolinità, spessa, ruvida e selvaggia. Ottenni il mio orgasmo e lo sbriciolai in mille pezzi. Una sua mano colpì la porta mentre con l’altra mi tratteneva scopandomi fino a farmi perdere i sensi. Il mio nome, urlato dalle sue labbra mentre pompava, pompava, pompava, ogni spinta rapida e veloce, come se avesse perso tutto il controllo, tutta la ragione, la sua bocca mi morse il collo per un breve momento prima che venisse, imprecando una sfilza di parolacce, i suoi momenti diventarono all’improvviso più lunghi e più profondi, seppellendosi completamente prima di uscire lentamente, il mio nome ripetuto come un crescendo dalle sue labbra prima di fermarsi, finalmente.
*****
“Ci sei?” la preoccupazione nella sua voce mi fece tornare nel presente.
“Si, scusami. Stavo solo pensando a quello che ci ha portato in questo casino”, sorrisi.
“Fermati. Me lo stai facendo diventare di nuovo duro, proprio qui in questa sala d’attesa”. Il tono roco della sua voce mi fece ridere.
“Allora fermati. Sto per entrare”. Terminai la chiamata, e ottenni la domanda che mi aspettavo appena entrai nel complesso di uffici.
“Questa non è la casa di Mrs Hobbins. Dove siamo?” La mia piccola bambina petulante, la sua voce si era alzata per l’indignazione dal sedile posteriore.
“L’ufficio del dottore”
“Non sono malata”
“Non è per te”.
Silenzio. Era una risposta così rara da parte sua che mi fece girare, per osservarla, mentre mi sganciavo la cintura di sicurezza, e la sorpresa mi colpì vedendo le lacrime nei suoi occhi, la sua piccola faccia accartocciata. La debolezza della bambina fatta d’acciaio. “Hannah, va tutto bene. Non è successo nulla”.
Mi allungai dietro, la sganciai dal seggiolino, il suo piccolo corpo si mosse nel suv e venne ad abbracciarmi. Mi maledissi. La madre di Hanna era morta di cancro. Avrei dovuto pensarci, avrei dovuto. “ Non è un dottore per malati, Hannah. Va tutto bene.”
“Come il dottor Terra?” Lei tirò su con il naso, le sue mani rapide a tirare il mio maglione, per asciugarsi gli occhi.
“Beh, non esattamente. Il Dottor Terra è uno psicologo. Devi essere paziente. Non piangere. Capirai quando saremo dentro.
“Non sto piangendo.” mi disse singhiozzando, gli occhi fissi su di me, le lacrime rivelatrici ancora umide dove non era riuscita ad asciugarle.
“Okay”, la baciai e aprii la porta. “Bambina che non piange, scendi dal mio grembo prima di distruggermi alla morte”.
Lei si divincolò, lanciandosi sull’asfalto, i suoi piedi atterrarono con precisione e la fecero girare verso di me. Mi tese una mano con grande importanza e io la presi, chiudendo la portiera, poi ci incamminammo verso lo studio del medico.
Aprendo la porta dello studio Pianificazione familiare e Gravidanza del Dottor Moran, ginecologo, mi trovai faccia a faccia con Brant, i suoi occhi su di me, abbassò la testa per dare un rapido bacio sulla testa di Hannah prima allungarsi per sfiorare le mie labbra.
“Pronta?”, mi chiese. Guardai dietro di lui, dove c’era un’infermiera che stava aspettando.
Annuii, “Sono pronta, andiamo a farcelo confermare.”
Poi tenendo per ogni mano un membro della mia famiglia, compimmo il prossimo passo verso il nostro futuro.
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